Parla Giuseppe Conte: "Schlein assente a Villa Taverna? Un errore discutere l'alleanza con gli Usa"


L'intervista
Il leader del M5s rivendica la sua presenza all'ambasciata americana: "Gli Stati Uniti sono i nostri tradizionali alleati. Il che vale a prescindere da chi di volta in volta risiede alla Casa Bianca"
Cowboy, trumpiani, americani a Roma. Presidente Giuseppe Conte, lei martedì sera era alla festa romana dell’Indipendence day. “Sì. Ero alla festa. E perché non ci sarei dovuto andare?”. Lei ha fatto bene, ci mancherebbe. Ma certo la sua presenza spiccava. Insomma, la si notava. Soprattutto per via delle numerose assenze: a cominciare da quella della segretaria del Pd Elly Schlein. “E’ la festa dell’Indipendenza degli Stati Uniti. La festa di un intero popolo”. Appunto. Quindi sbaglia chi diserta tale occasione perché Trump è Trump? “Gli Stati Uniti sono i nostri tradizionali alleati. Il che vale a prescindere da chi di volta in volta risiede alla Casa Bianca. Io non ho mai messo in discussione questa alleanza”. No. Ma riavvolgiamo il nastro.
Nel firmamento di stelle e strisce, mercoledì sera, l’unica vera stella – arrivata sul prato di Villa Taverna un po’ a sorpresa, come una cometa – era proprio lui. Giuseppe Conte. Giuseppe ovvero Giuseppi. Astro splendente del Campo largo che, come una cometa appunto, arrivava nella sede dell’ambasciata statunitense con al seguito la sua coda di ioni. Da Rocco Casalino, stile fauno tra i cespugli (“Tu sabes que te amo”), a Roberto Fico “governatore del Kentucky”. Il presidente del Movimento 5 stelle era perciò presente là dove tutti gli altri leader d’opposizione, i suoi alleati, erano assenti. Avendo dato forfait già il giorno prima. Conte, da par suo, non avrebbe avuto dubbi. Vuoi per quell’antica affezione a The Donald che nel corso della sua prima amministrazione (fatalmente concomitante con il Conte I) lo vezzeggiava “Giuseppi”; vuoi perché – così risulta al Foglio – la decisione sarebbe stata presa all’ultimo e cioè una volta saputo che, andandoci, egli sarebbe stato l’unico leader presente.
Ma tornando ora a noi – e al di là d’ogni malignità – il punto è serio. Giacché l’assenza degli altri ha presto acceso una domanda, per giunta emersa nel corso del party e sintetizzata da una frase della dem Beatrice Lorenzin (anch’ella presente). In questi casi cosa conta di più? Contano di più le relazioni internazionali o quelle personali? Conta di più l’uomo o l’istituzione? Presidente Conte, lei che dice? “Io l’ho detto: la Casa Bianca prescinde dal suo inquilino”. Sicché sbaglia chi, come i suoi alleati, non lo capisce? “Bisogna sempre ricordare che quella con gli Usa è un’alleanza indiscutibile. Come indiscutibile è la nostra adesione alla Nato”. Ma qualcuno nel Movimento la discute: l’onorevole Dario Carotenuto, con il Foglio, ha articolato un ragionamento critico dell’Alleanza Atlantica. “No. Semmai io registro che non siamo capaci di fare una seria riflessione per aggiornarne struttura, obiettivi e finalità. L’Alleanza è ormai vecchia di quasi ottant’anni. Mentre il mondo intero è cambiato”. In ogni caso, coltivare le relazioni con gli Usa non è solo una questione di principio. Ma forse anche di realismo politico. In altre parole: per essere davvero alternativi a Meloni, e cioè per aspirare a governare il paese, non sarebbe a maggior ragione opportuno curare i rapporti esteri? “Certo. Le relazioni internazionali sono fondamentali. Difatti la battaglia del M5s contro la corsa al riamo, e contro il 5 per cento del Pil per spese militari all’interno della Nato, è improntata alla massima lealtà e trasparenza necessarie tra alleati. Se non si ha il coraggio di parlare in modo franco, e non si ha il coraggio di spiegare che per noi questi obiettivi sono oggettivamente insostenibili, allora non si è alleati ma sudditi”. Non sudditi ma alleati. Eppure Conte, di The Donald, fu quasi amico. “Questo approccio lo abbiamo adottato anche con i miei governi”. Quando? “Quando per esempio spiegai a Trump che l’accordo con Pechino sulla Via della Seta era necessario per migliorare la nostra bilancia commerciale con la Cina e aprire nuovi mercati alle imprese italiane in difficoltà”. Altri tempi. “Io credo – prosegue Conte, ora in polemica con la premier in carica – che per governare un membro del G7, e tutelare la credibilità del proprio paese, si debbano sottoscrivere solo impegni che sono realmente sostenibili. Troppo facile sottoscrivere oggi un impegno per 445 miliardi di euro in spese militari aggiuntive e poi farlo decorrere a partire dai prossimi governi, come fa la Meloni. In modo distorto, e con una buona dose di vigliaccheria, Palazzo Chigi fa credere che la credibilità dell’Italia passi dalla sottoscrizione di questo impegno del 5 per cento, che per alcuni paesi è pienamente sostenibile. Ma non per noi”. Smarcatosi quindi dai concorrenti a sinistra, Giuseppe Conte, ora, prende di petto la destra.
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